SUB ROSA VIS

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lunedì 23 settembre 2013

LETTERATURA CONTEMPORANEA

 
E' con grande ammirazione per Carlo Alberto Parmeggiani che mi appresto a pubblicare nel mio blog una piccola pre-recensione del suo ultimo lavoro letterario intitolato "Le parole e i numeri" (MIMESIS, 2013). Come si evincerà da alcuni argomenti trattati dal critico, professore universitario Remo Cesarani, il testo di Carlo Alberto affonda le sue radici letterarie ed ideologiche in una rivisitazione storica del Conciliatore (1818), foglio scientifico-letterario che per primo affronta le problematiche di una moderna letteratura. Tanta pre-veggenza è giunta fino a noi con l'intento di analizzare esaustivamente il sottile e a volte impalpabile intreccio fra le parole e i numeri.
 
 
di Remo Ceserani, con un'introduzione di Sandro Invidia - 20 settembre 2013
Qualcuno probabilmente ricorderà che Remo Ceserani, insieme a Lidia De Federicis, ha firmato anni fa un "Laboratorio per lo studio della letteratura italiana" tanto fortunato quanto "clamoroso". Il Materiale e l'Immaginario, edito da Loescher, si impose infatti all'attenzione del mondo scolastico e accademico perché scardinava, tra gli altri, uno dei pilastri portanti (e fondanti) di tutta la didattica disciplinare nazionale, da Croce in poi: l'idea che il letterato si dovesse occupare prevalentemente (se non esclusivamente) di letteratura, perché quello era il suo specifico e naturale (ma dovrei forse dire spirituale) campo di azione e interesse.
Idea sbagliata – secondo l'Autore – e povera, perché negava dignità di studio e di ricerca a tutte le occasioni di convergenza e contaminazione, senza le quali spesso poco si può capire della letteratura stessa («da che materiale scaturisce quell'immaginario che chiamiamo poesia?» ci si chiedeva in Casa editrice allora).
Per questo, quando ha accettato di scrivere per "la Ricerca", dicendo che gli sarebbe piaciuto occuparsi delle convergenze, appunto, «fra la letteratura e le altre discipline (matematica, fisica, biologia, neuro-scienze, medicina, giurisprudenza, ecc.), viste di volta in volta non dal punto di vista della situazione universitaria e culturale in senso ampio, ma da quello concreto delle discipline insegnate a scuola» abbiamo capito che ci stava proponendo di riprendere un discorso interrotto, non troncato, tanti anni fa. «È il nostro Autore che torna!», ci siamo detti in Redazione, con un po' di retorica e un malcelato senso di orgogliosa appartenenza.
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Carlo Alberto Parmeggiani è un immaginoso (da Edmondo Berselli definito «sulfureo») scrittore di romanzi e saggi, gran giramondo, praticante dei più diversi mestieri, dal bookmaker al professore di matematica in Svizzera, allievo a suo tempo di Luciano Anceschi, molto emiliano nei gusti e nella capacità estrosa, bizzarra, lucida della scrittura (siamo nella terra di Ariosto, Cavazzoni, Celati e, appunto, Berselli).
In un libretto arguto e di piacevole lettura, intitolato Le parole e i numeri (Mimesis, 2013), Parmeggiani ha cercato di scoprire se ci sono buone ragioni per stabilire convergenze (di interessi, di atteggiamenti mentali, di bizzarrie caratteriali) tra matematici e letterati, tra forme di sapere e conoscenza a prima vista molto distanti fra loro. Naturalmente le divergenze sono nette e ben chiare a tutti noi. Come spiega Parmeggiani all’inizio del suo libro «lo scrittore lavora una materia composta di fatti, di esperienza, di emozioni, sentimenti e di parole che diventano i mattoni in bella vista di periodi e di singole frasi che innalzano un’umile soffitta o una cattedrale a una propria visione delle cose, mentre il matematico lavora una materia folle e schizoide di figure, di grandezze, di classi, di astrazioni, più che non di numeri, misure, identità e di equazioni, benché di questi non ne possa fare a meno nella formulazione di un linguaggio universale in cui numeri e algoritmi la fanno da padrone in luogo delle solite parole, di periodi o di singole frasi». E però, e però. Quante sono davvero le differenze, o le somiglianze, fra chi conta e chi racconta, chi immagina algoritmi e chi scrive romanzi o poemi in versi?
kaw1Parmeggiani non è il primo che si pone questo problema, basta ricordare gli studi severi di Carlo Ferdinando Russo e le brillanti divulgazioni di Piergiorgio Odifreddi, ma egli questa volta lo affronta con un’ampiezza di riferimenti e una verve di scrittura davvero invidiabili. Parmeggiani può citare con disinvoltura le pagine di Ariosto, Kleist, Dumas, Carrol, Proust, Svevo, Kafka, Borges, Lem, Pizzuto, Calvino o Kawabata (magari lasciando sullo sfondo il fin troppo ovvio riferimento alla bottega matematica dell’Oulipo di Queneau e Perec) e confrontarle con le formule e teorie di Eulero, Mahavira, Desargues, Spinoza, Leibniz, Bolyai, Dedekind, Cesaro, Kronecker, Kovalevskaya, Cantor, Thom e moltissimi altri. Può soffermarsi sui problemi posti dall’infinito, dall’irrazionale, dallo zero, dal vuoto (il vuoto matematico e il senso del vuoto esistenziale del letterato), o sull’invenzione fantastica e fantascientifica dei mondi paralleli (come nell’inquietante romanzo Tempo fuor di sesta di Philip Dick), o sulla logica imperterrita e
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drammatica di Carlo Michelstaedter, o sui complicati, torrentizi deliri di David Foster Wallace, portato, lui come altri postmoderni, a pensare con angoscia il mondo in cui viviamo «come un grande punto morto, ovvero un punto di accumulazione di abbrutimenti» (altro che euforie nevrotiche!). Può soffermarsi pietosamente sul tragico destino parallelo del matematico Évariste Galois e del grande poeta e narratore russo Alexander Puškin. Può, con facilità, scrivere pagine «sulfuree» su una sfilza infinta di matematici e letterati più o meno grandi.
Il libro di Parmeggiani, oltre a offrire a tutti noi una lettura molto piacevole, serve a smentire pregiudizi troppo diffusi nelle nostre scuole e fra i nostri ragazzi, per cui alcuni sarebbero portati alla scienza dura della matematica e altri, in netta controtendenza, al libero esercizio della parola e dell’immaginazione. Pare proprio che non sia così.
Remo Ceserani è stato professore di letterature comparate all'Università di Bologna.
 
 




Franco Berselli.

sabato 6 aprile 2013

LETTERATURA, ARTE E POLITICA, BLOG DI BERSELLI FRANCO: LA "PESTE" COME NUOVA CHIAVE DECODIFICATORIA E CEN...

LETTERATURA, ARTE E POLITICA, BLOG DI BERSELLI FRANCO: LA "PESTE" COME NUOVA CHIAVE DECODIFICATORIA E CEN...: LA "PESTE" COME NUOVA CHIAVE DECODIFICATORIA E CENTRALE DEL FERMO E LUCIA, ROMANZO ARCHETIPO DEI PROMESSI SPOSI.  Nel 1984 ebb...

LA "PESTE" COME NUOVA CHIAVE DECODIFICATORIA E CENTRALE DEL FERMO E LUCIA, ROMANZO ARCHETIPO DEI PROMESSI SPOSI.

LA "PESTE" COME NUOVA CHIAVE DECODIFICATORIA E CENTRALE DEL FERMO E LUCIA, ROMANZO ARCHETIPO DEI PROMESSI SPOSI.


 Nel 1984 ebbi l'onore e la fortuna di partecipare al Congresso Nazionale di Studi Manzoniani che si svolse in Busto Arsizio (VA) nei giorni 16-17-18 novembre. Il Congresso Nazionale Manzoniano sottendeva anche un intendimento didattico da utilizzare nelle classi delle scuole secondarie nel 1985, anno del bicentenario della nascita di Alessandro Manzoni. Le tematiche trattate erano riferibili a questo iniziale enunciato: "Poesia, politica e religione nel decennio 1812-1822: Manzoni, il suo e il nostro tempo". La novità del congresso si focalizzò ben presto, in termini filologici, sulla comparazione intertestuale fra il Fermo e Lucia e la "Ventisettana", la prima pubblicazione dei Promessi Sposi (1827) e tutte le possibili interpretazioni filosofiche, teologiche, letterarie e metalinguistiche del testo manzoniano. Per rendere più "leggibile" l'archetipo del Fermo e Lucia si decise di coglierne l'essenza prima sul piano formale e subito dopo sul piano contenutistico, sintetizzandone alcune idee cardine. Sul piano formale, furono estrapolati alcuni concetti.
La premessa del Fermo e Lucia era stata parzialmente ricalcata da un manoscritto, inizialmente ritenuto anonimo dallo stesso Manzoni e intitolato "Storia della peste, avvenuta nel borgo di Busto Arsizio, 1630". Proprio nel 1984 il manoscritto "anonimo" sarà attribuito definitivamente al canonico Giovan(ni) Battista Lupi nato nel 1569 e morto nel 1645. Il testo "anonimo" era stato prestato ad Alessandro Manzoni, alla vigilia della stesura del suo romanzo, da Emilio Barbiano, Principe di Belgiojoso che in quegli anni era considerato l'uomo più libertino d'Europa, grande frequentatore delle corti europee e soprattutto di quella francese. Sul piano morale ed etico-comportamentale Manzoni ed il Principe di Belgiojoso non avevano nulla in comune se non la carità cristianamente intesa del primo ed il filantropismo tardo-illuministico del secondo. I due si erano incontrati per la prima volta nella casa milanese di Emilio di Belgiojoso in occasione di un'asta di beneficienza per i poveri della città. Emilio da quel momento, mise a disposizione di Alessandro tutta la sua biblioteca milanese e divenne il suo "postino privilegiato" per recapitare le lettere scritte da Manzoni agli amici parigini: Claude Fauriel e Cousin. Nel 1840 parte della biblioteca personale del Principe fu trasferita nella Villa Pliniana  di Torno (CO). L'ombrosa Pliniana, fra separazioni e convivenze del Principe, per i tempi scandalose, fu testimone dell'amore passionale fra Emilio e Anne-Marie Berthier, principessa di Wagram e moglie del duca di Plaisance, fuggita per amore dalla corte di Parigi. Verosimilmente il Principe di Belgiojoso, o forse la moglie separata Cristina di Belgiojoso, vendettero parte del fondo bibliotecario milanese e comasco di Emilio al signor Hoëpli, antiquario librario milanese. Lo stesso Hoëpli regalerà molti testi del Principe, compreso il manoscritto della  "Storia della peste, avvenuta nel borgo di Busto Arsizio, 1630", ai reali di Danimarca del tempo per favorire le vendite Hoëpli in quel Regno. E' per questo motivo che l'originale manoscritto dell' "anonimo" (G. B. Lupi) è ancora oggi a Copenaghen presso la Biblioteca Reale. A conclusione di questa prima fase del Congresso Nazionale Manzoniano del 1984 emersero quindi cinque considerazioni:
a) Manzoni non aveva finto di ritrovare un antico manoscritto in ossequio alla tradizione del romanzo storico europeo come avevano fatto J. J. Barthélemy,Vincenzo Cuoco e Walter Scott ma, almeno per la premessa del Fermo e Lucia, l'aveva realmente trovato;
b) La premessa del Fermo e Lucia evidenziava la tematica della Peste come input iniziale.
c) Nell'archetipo del romanzo tutti i protagonisti principali e minori venivano "attraversati" o si relazionavano, direttamente o indirettamente, col corpo o con l'intelletto, razionale o irrazionale, con l' "orribile morbo". In termini esemplificativi l'analisi filologica comparata fra il testo di Lupi e quello di Manzoni può essere attivata da un'opera di ricalco: la "utile historia a perpetua memoria dei posteri e nostri descendenti" di Lupi è ripresa da Manzoni con la frase "una ricordanza ai posteri o almeno ai suoi discendenti" (F. L., pagina 3). Lupi parla di "historia meramente vera" e Manzoni gli fa eco parlando di "veracità della historia" (F. L., pagina 6). Lupi scrive "... pubblico che al privato e ai fatti dei principi e potentati" seguito da Manzoni con "... a persone meccaniche e di bassa condizione, quanto ai dotti" (F. L., pagina 3). Il canonico afferma "la ragione per cui Dio permette et manda sì fatti flagelli e horrendi castighi è il peccato". Manzoni riprende questo concetto in un dialogo intercorso fra Padre Cristoforo e Renzo che vorrebbe farsi giustizia da solo: "guarda chi è Colui che castiga... colui che flagella e che perdona" (Promessi Sposi, pagina 35). E ancora all' "horrendo spettacolo" dell'anonimo corrisponde il "piccolo teatro di luttuose tragedie e calamità". Lupi parla di "fattura diabolica dell'onto" e Manzoni gli fa seguito parlando di "arti venefiche, operazioni diaboliche, gente congiurata a spargere la peste per mezzo di veleni contagiosi e di malie" (P. S., capitolo 31 - F. L., pagina 572). In Lupi la terza causa della diffusione del morbo è rappresentata da "una cattiva congiunzione di pianetti" così come per Manzoni nel trentasettesimo capitolo dei Promessi Sposi. Per la guerra del Monferrato abbiamo lo stesso riferimento sia in Lupi che in Manzoni. Infine i due autori utilizzano la stessa aggettivazione per descrivere i soldati germanici (lanzichenecchi): "luterani e demony";
d) Il Fermo e Lucia si chiude nel teatro per eccellenza della peste, rappresentato dal lazzaretto di Milano;
e) Il 26 Giugno 1824 Alessandro Manzoni aveva già scritto la struttura futura della "Storia della colonna infame", inserendo la stessa nel capitolo quinto del quarto tomo, che non verrà pubblicata nella "Ventisettana". In questa prima stesura vi è la descrizione della Peste delle coscienze degli uomini, la peggiore di tutte: la morte della Ragione e dell' Umanità. Nel 1842 la "Storia della colonna infame" verrà pubblicata come romanzo d'appendice nella nuova edizione del Promessi Sposi.
                                                 Villa Pliniana, Torno (CO)
 
La Villa Pliniana è da me considerta Tempio della Passione per Romantici e Decadenti.
I più famosi visitatori e ospiti nella Villa Pliniana nel XVIII e XIX secolo sono stati: Napoleone Bonaparte, Alessandro Volta, Ugo Foscolo, Henri Marie Bayle (Stendhal), George Byron, Alessandro Manzoni, Percy Bysshe Shelley, Giovanni Berchet, Vincenzo Bellini, Gioacchino Rossini e Antonio Fogazzaro.
 
 
Per cio' che riguarda i contenuti, la "Peste diventa nuova chiave decodificatoria del romanzo" anche se ingloba, parzialmente, la lezione più accreditata dalla critica scolastica e riferibile ad un Dio immanente che entra nella storia dell'uomo e delle collettivita' con lo strumento della Provvidenza per il trionfo finale del bene sul male. Vengono così messi in rilievo i seguenti concetti:
1 La Peste svolge un ruolo salvifico o insalvifico nella misura in cui gli uomini sono in grado di stabilire nuovi rapporti con il proprio corpo trasformato, con i propri pensieri e la fisicità e la spiritualità degli altri uomini.
2 La Peste da un punto di vista religioso controverte la teologia del corpo (l'uomo prima soffre, poi muore, e infine si decompone)  obbligando il credente e il non credente a misurarsi con la decomposizione del corpo in vita. 
3 La Peste permette agli uomini di esprimere o una religiosità autentica, uniformando la propria vita a quella di Cristo pronunciando il Fiat voluntas tua, oppure di cogliere l'istanza nihilista e agnostica invocando la morte per sconfiggere la morte. Manzoni, nel rispetto dell'uomo, lascia aperte entrambe le soluzioni (sembra quasi che nel romanzo convivano l'Illuminismo dei philosophes ed il Romanticismo dei dogmatici).
Come prima accennato, la Storia della colonna infame, come romanzo d'appendice all'edizione dei Promessi Sposi del 1842, costituisce il canovaccio ideologico di tutte le edizioni precenti. In termini di critica letteraria si potrebbe dire che Manzoni costruisce ante litteram una premessa significativa a ciò che in seguito verrà evidenziata come piena libertà del lettore attraverso una epoché husserliana.
 
 
Franco Berselli

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sabato 9 marzo 2013

GENESI DEL ROMANZO STORICO MANZONIANO: DALL'APOLOGIA DELLE "OSSERVAZIONI SULLA MORALE CATTOLICA (1818-1819)" ALLA POESIA DEL FERMO E LUCIA.

Gli antefatti letterari e filosofici che convergono alla definizione di una  "genesi in itinere" dell'idea del romanzo storico manzoniano per eccellenza (Fermo e Lucia, romanzo archetipo dei Promessi Sposi) sono variegati, complessi e sicuramente riconducibili alle principali tematiche emerse nell'autore attraverso lo scontro e successiva integrazione fra gli ideali di "due secoli l'un contro l'altro armati": XVIII° secolo con l'Illumismo ed il  XIX° con il  Romanticismo. L'Illuminismo francese ed europeo di fine Settecento e del primo Ottocento è stato vissuto da Manzoni nella lezione accreditata dagli idéologues e non dai philosophes della prima ora attraverso una scelta tardo-illuninistica e neoclassica fino al 1810. Alessandro, (con ogni probabilità figlio naturale di Giovanni Verri) ha respirato l'Illuminismo post-rivoluzionario percependone il significato ilichiastico (nozione coniata a posteriori nel 1818) foriero di innovazioni incontrovertibili per la nascita teleologica (in divenire) e non tautologica (circolare) della storia umana. E' con la "riconversione" al cattolicesimo praticante del 1810, i cui antefatti sono frammentariamente visibili dal 1807 che è possibile riscontrare in Manzoni  una nuova ispirazione creatrice che partendo dal momento della POESIA, vissuta con l'ardore del neofita romantico con gli Inni Sacri (1812-1815 e 1822),  giunge alle Osservazioni sulla morale cattolica (1816-1820) su cui saranno strutturalmente evidenziate le personalità, i caratteri e le fonti di ispirazione teologiche dei personaggi del futuro romanzo storico. Le Osservazioni sulla morale cattolica restarono incomplete per conferire all'autore gli strumenti linguistici e letterari atti a perseguire una narrazione storica attraverso due tragedie: Il conte di Carmagnola (1816-1820) e Adelchi (1820-1822 ) in cui per la prima volta viene attivata una  mirabile fusione" fra "vero-storico e verosimile".Anche le Odi, Marzo 1821 ed Il cinque maggio (1821), costituiscono un tentativo dell'autore per immergersi nella storia contemporanea poeticamente alla ricerca di una sintesi sperimentale, in poesia, di eventi appartenenti al vero-storico. Nei due anni precedenti la stesura del Fermo e Lucia (1821-1823) e durante la stesura dello stesso archetipo ambientato storicamente e volutamente negli anni 1628-1630 equidistanti tanto dall'alto Medioevo quanto  dall'età contemporanea all'autore, Manzoni, da vero storico attento alle fonti storiche intenzionali e  preterintenzionali si esercitò nella lettura e nell'interiorizzazione di alcuni testi storici da cui prepotentemente emergono: La peste nella rivisitazione di Giovanni Boccaccio;  "De peste" di Giuseppe Ripamonti (1640); "Ragguaglio" di Alessandro Tadino; "La pestilenza seguita in Milano l'anno 1630" di Agostino Lampugnano (1654); "De pestilentia quae fuit in Mediolani, anno 1630" del Cardinale Federico Borromeo; "Le grida secentesche" dei Governatori di Milano; "Del Governo della peste e delle maniere di guardarsene" di Lodovico Antonio Muratori (1714); "Storia della peste avvenuta nel borgo di Busto Arsizio, 1630." del canonico Giovan(ni) Battista Lupi (inedito ed importantissimo manoscritto rivisitato e presentato nel 1985 dal Centro Studi Manzoniano di Milano in occasione del bicentenario della nascita di Alessandro Manzoni. Attualmente il manoscritto  originale è conservato nella Biblioteca Reale di Copenaghen. Da quanto brevemente sopraesposto è quindi doveroso affermare che la "vera" poesia manzoniana è insita nel Fermo e Lucia e la "PESTE" è la nuova e centrale chiave decodificatoria del romanzo. L'approfondimento della nuova chiave decodificatoria del romanzo verrà, a breve, da me trattato su questo blog.
Franco Berselli 
 
 
 

lunedì 4 febbraio 2013

LETTERATURA, ARTE E POLITICA, BLOG DI BERSELLI FRANCO: "ILICHIASTICO": SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE DEL TER...

LETTERATURA, ARTE E POLITICA, BLOG DI BERSELLI FRANCO: "ILICHIASTICO": SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE DEL TER...: "ILICHIASTICO": SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE DEL TERMINE ARCHETIPO. In termini filologici-letterari, il termine "ilichiastico" è comparso p...
"ILICHIASTICO": SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE DEL TERMINE ARCHETIPO.

In termini filologici-letterari, il termine "ilichiastico" è comparso per la prima volta nel 1818 fra le pagine del Conciliatore  ( 13.09.1818) nel  "Discorso della poesia considerata rispetto alle diverse età delle  nazioni"  proposto da Gian Domenico Romagnosi.  Dopo  la  lettura  del "Discorso....." di         G. D. Romagnosi si possono trarre alcune deduzioni sicuramente utili alla conclusione della polemica fra Neoclassici e Romantici esplosa in Italia fra la fine del XVIII° secolo ed il primo ventennio del XIX°.
Il nucleo centrale della polemica riguardava "la vera imitazione della natura" di cui i Romantici si ritenevano depositari in nome di quella immediatezza espressiva ed artistica che riguardava il loro approccio alla natura, alla realtà delle cose e allo stesso mondo interiore, sentimentalmente inteso.
I primi romantici affermavano di essere loro, e solo loro, i veri classici perchè come gli antichi e grandi scrittori della classicità non si erano mai piegati a rappresentare la natura ed il vero attraverso una copia di una copia e come gli stessi classici antichi non utilizzavano modelli pregressi: metafore, allegorie, miti, impianti mitologigi e filtri .... classici. Per tutti i neo-romantici il termine ilichiastico, coniato da G. D. Romagnosi stava ad indicare in modo sostantivante ed aggettivante il "voler essere adatto alle età", ed estensivamente essere antichi e moderni contemporaneamente. In termini esemplificativi si poteva essere antichi (Classici o Neoclassici) nella forma e moderni (cioè Romantici) nei contenuti.
A questo punto soltanto la creatività, le innovazioni e le stesse intuizioni future diventavano importanti indipendentemente dal lessico utilizzato. Implicitamente veniva valorizzato anche l'elemento realistico della letteratura che mai aveva abbandonato ogni momento demiurgico in cui tutte le tradizioni letterarie italiane ed europee si erano manifestate dall'antichità fino al presente.
Franco Berselli

venerdì 25 gennaio 2013

LETTERATURA, ARTE E POLITICA, BLOG DI BERSELLI FRANCO: INVITO PUBBLICO

LETTERATURA, ARTE E POLITICA, BLOG DI BERSELLI FRANCO: INVITO PUBBLICO: Invito tutte le mie amiche, i miei amici e i conoscenti a partecipare alla stesura di testi e alle discussioni letterarie, artistiche e poli...

Romanticismo o Ilichiasticismo?


La chiusura della polemica fra classici e romantici sulla vera "imitazione della natura" con l'"ilichiasticismo"
proposto da Gian Domenico Romagnosi nelle pagine del Conciliatore del 1818.